1a Stagione | Ep.8

Allenare le relazioni

Cosa sono le palestre relazionali (con ELIS)

Apr 28, 2022

Lavorare a casa o tornare in ufficio? Le aziende iniziano a chiederselo, e ad agire di conseguenza. E se invece esistesse una terza via? 

 

Durante la pandemia molti lavoratori si sono trovati a dover scegliere se lavorare dall’ufficio o da casa. Per tanti, la soluzione – anche se temporanea – è stata quella del coworking, una realtà che esiste da tempo ma che ha avuto una forte riscoperta con la chiusura delle sedi aziendali. Nei coworking hanno iniziato a ritrovarsi, quindi, non solo i liberi professionisti, ma anche i lavoratori dipendenti in cerca di un posto che potesse rimpiazzare, nella loro vita lavorativa, gli uffici temporaneamente non disponibili.

Eppure, mentre i lavoratori cercavano la propria soluzione in modo indipendente, c’era chi lavorava a una soluzione condivisa. Il consorzio ELIS, di cui fanno parte ad oggi più di 100 imprese italiane, ha cercato la cosiddetta terza via tra ufficio e smart working, e l’ha trovata nelle palestre relazionali.

Cos’è una palestra relazionale

A raccontare cos’è una palestra relazionale e come funziona è Giada Susca, Senior HR & Communications specialist di ELIS:

La palestra relazionale è una terza via tra l’ufficio tradizionale e la cucina di casa in cui siamo stati abituati in questi due ultimi anni ad incontrare le persone. […] Le aziende del consorzio hanno capito che era fondamentale offrire un luogo in cui la dimensione relazionale potesse essere recuperata.

Un luogo, insomma, in cui aziende del tutto diverse – non raramente competitor – possano condividere gli stessi spazi organizzando le proprie giornate per lavorare creando relazioni. Ma come si accede a una palestra relazionale? Come sono stati scelti quelli che ELIS definisce pionieri, ovvero i primi utilizzatori delle palestre relazionali?

L’unico requisito che abbiamo chiesto alle aziende di rispettare è la vicinanza alle palestre relazionali, perché il luogo di lavoro potesse essere raggiunto al massimo con 15 minuti. Da un punto di vista professionale, invece, i partecipanti dovevano essere persone disposte all’apprendimento, alla diffusione e al confronto.

In ogni palestra sono previste attività da svolgere insieme, per permettere il confronto ma soprattutto creare il gruppo: si tratta di una sorta di rituale, assolutamente fondamentale per la buona riuscita del progetto.

Il rituale permette di fissare nelle agende dei momenti di apprendimento: ogni giorno i pionieri sapevano che c’era un’altra attività da fare insieme agli altri pionieri. Un esempio? Ogni mattina facciamo 40 minuti di mindfulness: i pionieri ci hanno restituito un grande beneficio in seguito a questa attività, al punto che si sono fatti portavoce di questo modello nelle loro aziende. 

Introdurre dei momenti di relax e creatività all’interno del gruppo non influisce minimamente in maniera negativa sulla produttività, anzi. L’importante, spiega Giada, è che le attività siano coordinate da una sorta di direttore d’orchestra, il community manager, figura chiave che permetta ai partecipanti di mantenere una coesione di gruppo e li aiuti a superare le possibili difficoltà, che pure naturalmente non sono mancate, soprattutto all’inizio, quando è stato necessario orientarsi in un nuovo modo di lavorare. 

Il community manager è stato il raccordo di tutte le esigenze e le difficoltà dei pionieri. Il ruolo del community manager è stato riconosciuto come fattore di successo, al punto che molte aziende stanno pensando a inserire stabilmente questa figura nel loro organigramma.

I benefici delle palestre relazionali – che possono ricordare per certi versi il modello cooperativo di cui abbiamo già parlato – sono monitorati dal gruppo di ricercatori che fanno capo al Professor Luca Solari, Ordinario di Organizzazione Aziendale all’Università Statale di Milano. L’obiettivo è quello di stabilire buone pratiche concrete da poter replicare nelle aziende, partendo da alcuni pilastri scelti e condivisi dai reparti HR di ciascuna. Fra questi, uno dei più interessanti è: Le idee non hanno gerarchia. Ovvero, è benvenuta e incentivata la comunicazione fra figure aziendali molto differenti, comunicando senza barriere con la consapevolezza di potersi confrontare senza naturalmente divulgare informazioni sensibili. Giada lo racconta così:

Nelle palestre relazionali è stata abbattuta la logica del timore di confrontarsi con chi è più alto in grado. Chiedere come alcuni problemi sono stati risolti nelle organizzazioni è stato fatto in libertà, senza paura del giudizio e della valutazione, o delle dinamiche tipiche del pettegolezzo. […] Le persone che abitano questi spazi sono persone mature: sanno cosa poter condividere e divulgare senza mettere a rischio la loro azienda.

Da new ways of working a new ways of living

Ad aprile si è conclusa la prima fase del progetto delle palestre relazionali, quella che riguarda la costruzione di un nuovo modo di lavorare e le proiezioni di quest’ultimo sul mondo del futuro. Si apre ora la seconda fase: quella della restituzione al quartiere dei benefici sperimentati, perché si possa passare da un nuovo modello lavorativo a un vero e proprio nuovo modello di vita, in cui chi lavora e vive nel quartiere – parlavamo in apertura della prossimità tra casa e luogo di lavoro – possa trasferire benessere anche nel mondo che lo circonda.

Non volevamo che la palestra fosse un luogo privilegiato, per pochi eletti. Volevamo che la palestra andasse verso fuori e il fuori verso dentro. La palestra non è un luogo chiuso: si apre al quartiere.

Tra i progetti realizzati dai pionieri c’è la riqualificazione di aree degradate del quartiere, il miglioramento di spazi pubblici, ma anche la collaborazione stretta con le scuole, dall’orientamento al doposcuola. Ma la costruzione di un nuovo modo di vivere passa anche per altro.

Tornare in ufficio oggi deve avere una grande motivazione, che è quella di stare insieme.

Nel lavoro ci possono essere anche tanta creatività e tanto benessere, perché sia davvero un’occasione di fioritura. […] Il lavoro non deve essere considerato una maledizione divina, ma un momento generativo dove mettere a frutto esperienza professionale e personale.

Il progetto delle palestre relazionali è replicabile e scalabile. Se proseguisse e trovasse il favore di nuove imprese, potrebbe portare a una vera e propria rivoluzione sul territorio nazionale, permettendo alle persone di scegliere davvero il luogo in cui vivere senza doverlo abbandonare per inseguire il lavoro. Giada lo riassume così:

Si sta pensando al modello south working, che permette di vivere nel proprio luogo natale lavorando da remoto e tornando in azienda per incontrarsi periodicamente, magari una settimana al mese. Molte aziende stanno già operando in questo senso. Si sta iniziando a capire che non è possibile sradicare le persone dai luoghi che hanno scelto per la loro vita

Per ulteriori informazioni sul progetto delle palestre relazionali: https://smartalliance.elis.org/

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